Ordinanza n. 176/99

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ORDINANZA N. 176

ANNO 1999

 

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE COSTITUZIONALE

composta dai signori Giudici:

- Dott.   Renato GRANATA, Presidente

- Prof.    Giuliano VASSALLI

- Prof.    Cesare MIRABELLI            

- Prof.    Fernando SANTOSUOSSO            

- Dott.   Cesare RUPERTO                

- Dott.   Riccardo CHIEPPA             

- Prof.    Gustavo ZAGREBELSKY              

- Prof.    Valerio ONIDA                    

- Prof.    Carlo MEZZANOTTE                     

- Prof.    Guido NEPPI MODONA                

- Prof.    Piero Alberto CAPOTOSTI             

ha pronunciato la seguente

ORDINANZA

nel giudizio di legittimità costituzionale dell’art. 409 del codice di procedura penale, promosso con ordinanza emessa il 7 maggio 1998 dal Giudice per le indagini preliminari presso il Tribunale di Venezia, iscritta al n. 533 del registro ordinanze 1998 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 29, prima serie speciale, dell’anno 1998.

Visto l’atto di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri;

udito nella camera di consiglio del 14 aprile 1999 il Giudice relatore Giuliano Vassalli.

Ritenuto che il Giudice per le indagini preliminari presso il Tribunale di Venezia, chiamato a pronunciarsi sulla richiesta di archiviazione di un procedimento penale relativo ad un esposto presentato "per una muretta pericolante antistante gli anagrafici 2303 e 2304 di Venezia/Castello", ha sollevato, in riferimento agli artt. 3 e 112 della Costituzione, questione di legittimità costituzionale dell’art. 409 cod. proc. pen., nella parte in cui non prevede che il giudice per le indagini preliminari possa ordinare al pubblico ministero di iscrivere nel registro delle notizie di reato il nome della persona che sia da considerare indiziata;

che il rimettente, dopo aver riferito di aver già fissato la camera di consiglio con la partecipazione della persona offesa ma non della persona sottoposta alle indagini, "in quanto non rientra nei poteri del GIP nè ordinare al Pubblico Ministero di iscrivere il nome di una persona nel registro delle notizie di reato nè tanto meno citarla direttamente quale indagata attribuendole una qualifica che formalmente non riveste", ha rilevato che la denunciata carenza normativa si porrebbe in contrasto con il principio di uguaglianza e con quello di obbligatorietà della azione penale;

che, quanto al primo profilo, il giudice a quo ritiene si determini disparità di trattamento: a) tra il soggetto cui sia attribuibile il reato nel procedimento contro ignoti, rispetto al soggetto cui sia parimenti attribuibile il reato, ma del quale il pubblico ministero non voglia inscriverne il nome nel registro di cui all’art. 335 cod. proc. pen.; b) tra coloro che si trovano in una identica situazione, "a seconda che la loro posizione venga esaminata da un Pubblico Ministero anzichè da un altro"; disparità, queste, ancor più evidenti nella ipotesi in cui il giudice non ritenga di disporre l’archiviazione, giacchè mentre nel primo caso può essere fissata la camera di consiglio, nel secondo si verifica una "impasse procedurale a tutto vantaggio dell’indiziato";

che violato sarebbe anche l’art. 112 della Costituzione, in quanto "nei casi in esame, col suo comportamento, il Pubblico Ministero ad libitum vanifica totalmente il potere-dovere di controllo del giudice per le indagini preliminari";

che nel giudizio é intervenuto il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dalla Avvocatura generale dello Stato, chiedendo che la questione sia dichiarata non fondata.

Considerato che, sotto l’apparenza di una questione di legittimità costituzionale, il giudice a quo in realtà si limita a prospettare una problematica di mero fatto, frutto di un contrasto tra uffici e tale da generare una patologica stasi del procedimento, la cui causa generatrice non ha nulla a che vedere con la supposta carenza di un quadro normativo che, al contrario, si presenta adeguato ed esauriente;

che, infatti, non può in alcun modo revocarsi in dubbio la circostanza che, a prescindere dal "tipo" di archiviazione richiesta dal pubblico ministero, spetti in ogni caso al giudice il potere – ove nel procedimento non figurino persone formalmente sottoposte alle indagini – di disporre, nella ipotesi in cui non ritenga di poter accogliere la richiesta di archiviazione, l’iscrizione nel registro di cui all’art. 335 cod. proc. pen. del nominativo del soggetto cui il reato sia a quel momento da attribuire;

che la questione proposta deve pertanto essere dichiarata manifestamente infondata.

Visti gli artt. 26, secondo comma, della legge 11 marzo 1953, n. 87, e 9, secondo comma, delle norme integrative per i giudizi davanti alla Corte costituzionale.

PER QUESTI MOTIVI

LA CORTE COSTITUZIONALE

dichiara la manifesta infondatezza della questione di legittimità costituzionale dell’art. 409 del codice di procedura penale, sollevata, in riferimento agli artt. 3 e 112 della Costituzione, dal Giudice per le indagini preliminari presso il Tribunale di Venezia con l’ordinanza in epigrafe.

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il il 10 maggio 1999.

Renato GRANATA , Presidente

Giuliano VASSALLI, Redattore

Depositata in cancelleria il 18 maggio 1999.